Psc Group

All’estero il locale batte l’internazionale

Nell'espansione oltreconfine il direttore legale sceglie le insegne locali radicate nel territorio, preferendole per disponibilità e costi

03-09-2020

All’estero il locale batte l’internazionale


Giuseppe Pirozzi (in foto), direttore legale e societario della multinazionale lucana di impiantistica Psc, non ama adeguarsi a schemi predefiniti. A capo di una direzione composta da sei figure di formazione giuridica, ha maturato esperienza presso le direzioni legali di realtà come Kimbo, Unilever e Condotte.

Dal suo ingresso in Psc nel settembre 2018, ha applicato una propria ricetta alla gestione dei consulenti esterni nell'accompagnare l’azienda in un’espansione internazionale senza precedenti, con sei operazioni di M&A sparse in tutto il mondo nel solo 2019: maggiore responsabilizzazione, tramite l’utilizzo di strumenti quali success fee e abort fee, confronto costante con la direzione interna e maggiore impiego delle insegne locali. La rigidità nella contrattazione delle fee e la discontinuità nel confronto quotidiano hanno infatti portato la direzione legale ad allontanarsi dalle law firm internazionali. Inoltre, nella visione di Pirozzi il rapporto con gli studi legali non può ridursi a una ricezione unilaterale della consulenza, ma deve essere il frutto di un dialogo costante cui i grandi studi ancora si sottraggono.

Soprattutto quando il responsabile legale si trova a gestire una macchina complessa che, come nel caso di Psc, deve anche tenere conto della partecipazione di due soci pubblici nel capitale sociale e di un’articolata struttura di controllate societarie.

A quali consulenti esterni vi rivolgete?
Abbiamo stipulato convenzioni annuali con diverse boutique italiane e straniere. Quando l’azienda deve calarsi in settori o tematiche specifiche gli studi di piccole dimensioni offrono un mix ideale tra iper-specializzazione e maggiore flessibilità sugli onorari. Collaboriamo per esempio con Monaco, una boutique su Milano e Roma specializzata nelle telecomunicazioni, un settore in cui siamo entrati solo un anno fa. Lato governance, diritto societario e penale societario ci affidiamo a Di Amato, insegna basata a Roma e Napoli, il cui fondatore è uno dei massimi esperti di diritto commerciale e penale d’impresa. Nelle questioni di diritto del lavoro e relativo contenzioso ci affidiamo a Pessi e Salonia, due tra gli studi di nicchia nel settore labour. Per organizzare la nostra espansione latino-americana, e costruire le relative strutture societarie, ci siamo rivolti a studi legali locali altamente specializzati in operazioni M&A, quali Guarnera in Brasile e Castellari in Colombia e Cile.

Quando si entra in nuovi mercati spesso ci si affida a insegne internazionali presenti in Italia e nel territorio di espansione. Voi avete compiuto una scelta differente. Perché? 
Siamo usciti dalla logica dei grandi studi perché in ambito corporate l’insegna locale ci permette di ottenere ugualmente un’assistenza completa. Si tratta di realtà altamente specializzate in diritto societario, ma che riescono a fornirci adeguata assistenza anche a livello fiscale, amministrativo, Hr e finanziario, il che rappresenta un plus per un’azienda che intende affacciarsi per la prima volta nei mercati extra-europei. Il tutto a un prezzo sostenibile e senza incorrere in costi fissi: le insegne internazionali sono ancora troppo legate al sistema della tariffa oraria. Per me, invece, è fondamentale negoziare sin da subito il contenuto e il costo del mandato proprio per non rinegoziare in continuazione i termini dell’incarico. Un altro motivo che ci ha spinti a escludere le law firm internazionali è il rapporto che vogliamo instaurare con i nostri consulenti. Gli studi locali fanno sentire costantemente la loro presenza, c’è un’interlocuzione quotidiana e un coinvolgimento molto capillare che con lo studio internazionale non sempre riusciamo ad avere. Affidarsi a queste realtà è spesso spersonalizzante, con il rischio di venire abbandonati a noi stessi una volta arrivati in loco. La maggiore flessibilità, operatività e concretezza delle insegne locali, invece, ci permette di ottenere il risultato senza grandi costi. Di contro, questa linea operativa mi costringe a controllare più da vicino i consulenti con cui lavoro soprattutto per l’importanza degli obiettivi: ho dovuto fare molti viaggi fisici sia per conoscere gli studi che selezionavo sia per mettere a posto la relativa burocrazia. 

Difficile pensare che l’offerta della insegna di piccole dimensioni possa funzionare su tutti i dossier. 
Quando si raggiungono determinate dimensioni è inevitabile affidarsi ai grandi studi legali nazionali e internazionali. Nel settore finanziario, specialmente quando è necessario stabilire un rapporto con gli istituti di credito o con i fondi obbligazionari, restano i migliori alleati. Gianni Origoni Grippo Cappelli è spesso nostro consulente, ma abbiamo lavorato anche con Legance per il corporate e in questo momento Dentons ci sta assistendo per ottenere il finanziamento Sace previsto dal Decreto Liquidità.

Perché comunque preferite gli studi locali o le boutique per la consulenza ordinaria?
Perché riusciamo a regolamentare i rapporti con convenzioni preventive, che indicano sin da subito in modo dettagliato l’estensione del mandato e gli onorari. In particolare, con riferimento alle fee, negozio sempre un cap minimo e massimo per ciascuna fase dell’operazione e poi prevedo una success fee e una abort fee in caso di successo o insuccesso del progetto. Applico questo schema in modo seriale per orientare e responsabilizzare il consulente al risultato: è un approccio pragmatico che dà i suoi frutti.

C’è una qualità in particolare che eleva il rapporto con il consulente esterno?
Il consulente deve essere un soggetto con cui interloquire e grazie a cui arrivare a una soluzione legalmente sostenibile. Un supporto quindi e non un ostacolo alle esigenze di business. Cerco una componente di reattività intellettiva: il general counsel, preso da mille problemi sul tavolo, può farsi sfuggire un dettaglio che può essere decisivo. Il contributo concreto e di qualità dell’avvocato è dato però da un continuo interscambio di idee, non da una soluzione pronta servita unilateralmente. Il problema va sempre affrontato insieme, mi piace il consulente con cui ci confrontiamo, ci chiamiamo, condividiamo gli eventuali rischi e costruiamo insieme la soluzione: deve essere parte di un processo il cui scopo finale è servire al meglio il business e le scelte strategiche del gruppo.

La versione integrale dell'intervista è consultabile su E-edicola, numero di agosto/settembre 2020 di TopLegal Review.


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