Studi legali

R&p Legal spegne 70 candeline

La storia e le prospettive dello studio torinese nelle parole del senior partner Riccardo Rossotto

09-12-2019

R&p Legal spegne 70 candeline

 

R&p Legal lo scorso 19 novembre ha festeggiato i 70 anni di attività. Con l’occasione TopLegal ha deciso di ripercorrere le tappe fondamentali dello studio in un’intervista con il senior partner Riccardo Rossotto.

Era il 1949 quando a Torino Giuseppe Rossotto, padre dell’attuale senior partner, entrava nello studio del futuro suocero Riccardo Sola. Da allora, è iniziato un percorso che ha coinvolto ben tre generazioni di professionisti. E che ha portato l’insegna fuori dai confini torinesi, sbarcando negli anni Novanta prima a Milano e successivamente ad Aosta e Roma. L’espansione non si limita soltanto al territorio nazionale ma si spinge, grazie alla fusione con Hammonds, fino alla capitale britannica. La fusione tra i due studi, che dà vita per cinque anni a Rossotto & Hammonds, nelle parole di Rossotto, si è rivelata fondamentale per la crescita dello studio, nonostante il recesso dall’accordo. Nel 2009 arriva un’altra svolta: la spersonalizzazione dello studio, che diventa R&p Legal.

L’ultimo lustro di attività è stato caratterizzato da un’impennata alla crescita grazie a plurime fusioni con altri studi, come l’integrazione di Tdl nel 2015, di Zonca Briolini Felli nel 2014, della boutique penale Magri nel 2013 e di Fabrizi nel 2010. Piano piano lo studio di piccole dimensioni, con Dna votato al corporate e al diritto civile, si trasforma in un full service anche grazie a un’importante stagione di lateral cominciata dal 2016 e tuttora in corso come dimostra il recente ritorno di Davide Nervegna.

Quali sono state le qualità che hanno aiutato lo studio a mantenersi competitivo in questi 70 anni?
La competenza è la condicio sine qua non, ma non è garanzia di successo. Le qualità e i valori che ho cercato di implementare sono, all’interno, il senso di comunità e di appartenenza allo studio; mentre all’esterno nei confronti del cliente, la disponibilità e reperibilità unita a un costo della consulenza compatibile con le sue risorse. Il tutto in un mercato, come quello legale, che sta perdendo di marginalità a causa di una concorrenza sempre più agguerrita.

Parlando di governance dello studio, a lungo vi è stato un triumvirato nel comitato direttivo. Cosa è cambiato? 
Il triumvirato oggi non esiste più ed è stato sostituito da un organismo di gestione composto da cinque soci tra cui Claudio Elestici, che da anni si occupa della gestione e organizzazione dello studio. Gli altri componenti, oltre al sottoscritto, sono Luigi Macioce, Paolo Grandi e Mario Ferrari e a ciascuno sono state affidate specifiche deleghe operative. Abbiamo altresì dei comitati che aiutano il lavoro dell’organismo di gestione: il comitato It, marketing e risorse umane. Abbiamo poi un Cfo, Marco Gilardi, ex revisore di Deloitte.

Quali sono i numeri dello studio in termini di risorse umane e attorno a quali cifre si attesta la presenza di professionisti giovani? 
Lo studio conta 140 professionisti, di cui 41 soci (tre esterni di recente nomina, Luca Finocchiaro, Davide Nervegna e Marco Scavello e quattro crescite interne: Nicola Carù, Giuseppe Taffari, Alessandro Racano, Pasquale Morra). Siamo una cooperativa con una testa molto grande, ma rispetto al passato riteniamo di dover ricorrere di più alle giovani leve. Infatti, a oggi il numero dei praticanti è sensibilmente aumentato e si attesta attorno alla ventina. Il recruiting e l’attrazione dei giovani talenti è diventato un asset fondamentale, al punto che abbiamo stipulato convenzioni con le università. Stiamo rafforzando la base perché abbiamo implementato un nuovo approccio in cui ci prendiamo il rischio della formazione.

Qual è il sistema di remunerazione per i professionisti dello studio?
Per la remunerazione c’è un protocollo basato su un misto tra anzianità e merito. Il percorso di anzianità comincia dall’ottenimento del titolo. Per quanto riguarda il merito, ci focalizziamo su qualità come lo spirito di imprenditoria e la capacità di portare dei clienti nuovi. La base della remunerazione consiste in un meccanismo matematico, che viene deciso dall’organismo di gestione. Per quanto riguarda i soci, un comitato, che ogni anno cambia i suoi membri, assegna dei bonus pari complessivamente a un massimo del 15% del reddito lordo dello studio a chi ha avuto performance (non solo necessariamente in termini economici) di carattere eccezionale. 

Negli anni lo studio ha sperimentato qualsiasi tipo di crescita: dalle collaborazioni stabili alle fusioni, passando per crescita interna e lateral hire. Qual è la modalità di crescita che si è rivelata vincente? 
Nella mia esperienza ho imparato che la ricetta vincente sta nello scegliere un misto di tutte queste opzioni, poiché ciascuna ha il suo risvolto positivo. I lateral sono importanti per l’acquisto di nuove skill o il rafforzamento di quelle interne; mentre le fusioni, seppur più complesse, sono fondamentali per la conquista di nuove aree geografiche. 

Gli ultimi soci entrati dimostrano la varietà delle fonti della nostra crescita: Nervegna e Finocchiaro sono solo formalmente due lateral hire, ma Nervegna in realtà è un ritorno essendo stato con noi in passato. La conoscenza reciproca personale e professionale con Luca Finocchiaro è di lunga data. A luglio abbiamo fatto un giro di nomine interne per quattro professionisti, ma a ben vedere due di questi (Morra e Racano) sono frutto di integrazioni, rispettivamente quella con Lamberti e Magri sia pure ormai risalenti a quasi dieci anni fa.
 
Il percorso di crescita interna si fonda in prima battuta su due cardini: la competenza e la capacità di gestione di clienti altrui, ovvero di mandati non acquisiti personalmente ma i cui volumi sono aumentati grazie alla buona gestione dell’avvocato. In seconda battuta, specialmente in vista della partnership, viene premiato lo spirito di imprenditoria e la capacità di acquistare nuovi clienti. Una volta raggiunta una certa soglia di compenso fisso, si apre la partnership, graduata con la salary partnership. L’ammissione a partecipare all’equity viene decisa dai soci ed è una combinazione di dati economici, umani e professionali.

Lo studio presidia storicamente il mercato delle Pmi. Cosa è cambiato in questi anni?
Il cambiamento più evidente sta nella stessa definizione di Pmi, che oggi ricomprende anche aziende da un miliardo di fatturato. Il nostro target di clientela è concentrato sulle non quotate, dislocate sul territorio nazionale soprattutto in provincia. Un altro cambiamento che ho notato riguarda la tariffazione: ci viene sempre più richiesto un preventivo fisso a discapito della tariffazione oraria, incerta per definizione. Il cliente apprezza che gli venga fornita una stima più precisa possibile sulla base della quantità di lavoro prevedibile, delle risorse impiegate e della complessità del caso. 

Quale sfida è alle porte per il mercato legale e come verrà affrontata dallo studio?
Riesco a pensare a tre grandi sfide che ci aspettano. La prima è l’intelligenza artificiale, che ormai contamina la gestione degli studi legali: adattare e preservare l’attività umana e il pensiero sarà essenziale. L’obiettivo deve essere quello di saper governare e non subire le novità dell’Ai. Lo studio, per esempio, si è già dotato di piattaforme tecnologiche per la gestione automatizzata di alcune pratiche più seriali e sta valutando l’utilizzo dei Ros (robot operating system): robot efficienti e utili per le attività paralegal. La seconda sfida è la combinazione global-local: occorre fornire una copertura internazionale alle Pmi nazionali e provinciali. Per farlo, bisogna rafforzare le reti internazionali, adattando però il costo e la modalità di lavoro alle realtà locali. L’ultima scommessa, ma non per importanza, è riuscire a conservare i valori condivisi di una comunità. L’ambizione personale, aziendale ed economica non deve mai andare a discapito del senso di responsabilità sociale e solidale. 

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