Fallimento e crisi d’impresa sono nell’occhio del ciclone mediatico-legale. Il motivo è presto detto: nel 2020 sarà modificata integralmente la Legge Fallimentare del 1942. Il nuovo Codice della Crisi rappresenta un’enorme opportunità per svecchiare e velocizzare un sistema che ha quasi ottant’anni. Al contempo, però, la nuova legge – la cui entrata in vigore è prevista per agosto 2020 – porta con sé qualche irrisolto. Tanto da aver spinto lo scorso agosto un piccolo plotone di oltre venti studi legali a fare fronte comune, chiedendo un confronto al governo sulle zone grigie della normativa emanata lo scorso gennaio.
Un tassello in più si è aggiunto nei giorni scorsi, quando il ministero della giustizia ha costituito un comitato di studio che avrà il compito di coadiuvare l’ufficio legislativo nella predisposizione dello schema di decreto legislativo correttivo del nuovo Codice della Crisi. I lavori del comitato – di cui fa parte anche un esponente dell’avvocatura, Salvatore Sanzo, socio di Lca – si concluderanno entro il mese di novembre con la predisposizione di uno schema di decreto legislativo che verrà portato all’approvazione delle Camere nei primi mesi del 2020.
TopLegal ha sondato gli umori del mercato interpellando proprio Sanzo, insieme ad Alberto Angeloni e Giuseppe Iannaccone, rispettivamente partner fallimentarista di Dla Piper e socio fondatore di Iannaccone, vale a dire due degli studi scesi in campo per chiedere un confronto sulla nuova legge.
Cosa cambia per le imprese nel 2020
Ma cosa cambia in concreto per le imprese dall’agosto 2020? Secondo Angeloni «salvo auspicabile proroga, le imprese italiane saranno soggette a una rivoluzione copernicana per quanto attiene gli obblighi e le responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo».
Il collegio sindacale e il revisore legale, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, avranno l’obbligo di: verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti iniziative idonee, se l’assetto organizzativo è adeguato, se sussiste l’equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione. Inoltre, sarà loro compito segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi e, in caso di omessa o inadeguata risposta da parte dell’organo amministrativo, ovvero di mancata adozione delle misure necessarie per superare lo stato di crisi, informare tempestivamente l’organismo di composizione assistita.
Per questi motivi, anche Iannaccone concorda con Angeloni sulle nuove sfide in capo agli organi di controllo, ritenendo che «la tempestività (o meno) dell’intervento dell’organo amministrativo e, laddove questo sia inerte, del collegio sindacale sarà un profilo che verrà esaminato con attenzione dalla giurisprudenza, soprattutto nelle cause di responsabilità nei confronti dei precedenti organi gestori e di controllo della società».
Nell’ambito della riforma ci sono anche altri profili d’interesse: sono stati definiti i concetti di crisi e insolvenza; è scomparso il termine “fallimento” e “fallito” (al fine di scongiurare l’effetto di disvalore che ancora l’accompagnava); al posto del fallimento è stata introdotta la procedura di liquidazione giudiziale, e sono state riviste le regole dei concordati, degli accordi di ristrutturazione dei piani attestati. Ma, soprattutto, sono state introdotte le procedure di allerta. In estrema sintesi, il legislatore ha previsto una fase preventiva di allerta destinata ad anticipare l’emersione della crisi. La cui prospettiva di successo dipende in gran parte dalla propensione degli imprenditori ad avvalersene tempestivamente. Perciò, è stato configurato un sistema di incentivi per chi vi ricorre e di disincentivi per chi invece non vi fa ricorso.
Facendo riferimento a questo particolare aspetto, sia Iannaccone che Sanzo individuano un futuro mutamento radicale in seno all’organizzazione della struttura interna dell’impresa perché tutta l’attività, anche in termini di responsabilità, sarà incentrata sulla capacità di prevedere e prevenire la crisi. Per Iannaccone diventa «importante che, all’interno delle imprese, si sviluppi una vera e propria “cultura della crisi”, grazie alla quale si possano avviare per tempo i percorsi di risanamento e di ristrutturazione adeguati, salvando così le imprese medesime». A evidenziare questo aspetto anche Sanzo: «Dal piccolo imprenditore individuale al grande imprenditore societario, o anche all’imprenditore puramente collettivo che non abbia forma societaria ma che non sia individuale, vi dovrà essere la predisposizione di una struttura interna che sia adeguata alla natura ed alle dimensioni dell’impresa e che sia in grado di prevedere la crisi, prevenirla e consentire all’imprenditore di adottare i mezzi necessari per quel risanamento che possa consentire la continuità aziendale».
Le zone grigie
Ci sono diverse zone grigie e qualche insidia dietro la nuova normativa. Probabilmente, l’aspetto più dubbio è rappresentato proprio dal meccanismo dell’allerta. «Essendo una disciplina mai stata contemplata prima d’ora – riflette Sanzo – sarà quella che dovrà subire il banco di prova più difficile. Allo stato attuale della sua legislazione, per come essa risulta uscita dal Codice della Crisi, e quindi con riserva di valutazione concernenti quelle che saranno le previsioni del decreto correttivo, il vero dubbio che fa nascere questa disciplina è rappresentato dal fatto che il suo sbocco pressoché naturale, laddove non si risolva la crisi, è sul tavolo del pubblico ministero. Il che potrebbe rappresentare un deterrente, soprattutto nella prima fase, per gli imprenditori i quali, forse, preferiranno continuare a rivolgersi con gli strumenti ordinari (concordato preventivo e accordo di ristrutturazione) direttamente in tribunale, anziché attraversare un percorso che li fa finire sul tavolo del Pm».
Angeloni aggiunge un altro aspetto: «Quel che rimane, con il nuovo codice, purtroppo, è il localismo e l’interpretazione che ogni tribunale vorrà dare delle nuove norme. Come noto, in ambito di procedure minori, spesso non è possibile ricorrere alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione perché i tempi della giustizia di legittimità non sono compatibili con quelli delle imprese in stato di crisi».
Iannaccone parla, invece, di non condivisibilità di alcune scelte legislative. E spiega: «Tra i vari punti, occorre menzionare, da un lato, la “marginalizzazione” dell’istituto del concordato preventivo (si veda, tra l’altro, il penetrante controllo del giudice che deve verificare la “fattibilità economica del piano” sia in sede di ammissione sia in sede di omologazione) e, dall’altro, la mancata completa “armonizzazione” della parte penalistica della normativa in esame».
Quali opportunità per i consulenti legali?
Come spesso accade, quando si parla di zone grigie normative si potrebbero celare diverse opportunità per i consulenti legali. La prima opportunità si chiama consulenza preventiva. Come visto in passato in altre discipline – si pensi alla 231 in tema di compliance – porre l’accento sulla prevenzione implica un aumento di mandati consulenziali. Tanto da indurre Sanzo ad affermare che «il nostro lavoro di assistenza cambierà radicalmente». Secondo il professionista, i legali non saranno più chiamati a intervenire solamente quando la crisi è conclamata per ricercare e costruire insieme all’imprenditore gli strumenti per uscire dalla crisi, ma dovranno essere chiamati soprattutto a creare gli strumenti di previsione e di prevenzione e poi a supportare l’imprenditore, nel momento stesso in cui inizia la crisi e quindi in una fase ben precedente rispetto all’insolvenza, nella individuazione degli strumenti che gli consentano di recuperare immediatamente l’attività di impresa.
Il concetto è molto chiaro. Poiché il legislatore ha previsto che l’impresa debba implementare un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato per attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti per il superamento della crisi, sotto il profilo legale, di riflesso, si dovranno predisporre tutti gli strumenti che consentano all’imprenditore di svolgere in maniera compiuta questa attività di prevenzione. Il legale dovrà, quindi, assicurare una consulenza preventiva che garantisca all’imprenditore le modalità migliori per creare il sistema di previsione tempestiva della crisi.
Più scettico sul punto, invece, Angeloni. Pur concordando sul fatto che le imprese dovranno arrivare al prossimo agosto preparate all’impatto della riforma e soprattutto con in piedi modelli organizzativi atti a far emergere lo stato di crisi con tempestività, Angeloni non crede che ciò potrà tramutarsi in un cambio di passo sostanziale per il lavoro dei consulenti. «Da principio – commenta – saremo chiamati a interpretare le nuove norme, i nuovi obblighi e le responsabilità aggravate per imprenditori e professionisti e, dall’altro lato, i nuovi adempimenti per gli istituti di credito. In seguito, è probabile che il lavoro torni sulle vecchie e consolidate, seppure rinfrescate, procedure».
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