Commento

Sempre più quote perse per strada

L’autoregolazione del mercato passa per il socio senza partecipazione

27-01-2022

Sempre più quote perse per strada

 

di Marco Michael Di Palma

Cosa indicano gli ultimi dati sui movimenti dei soci italiani? Secondo il Lateral Monitor TopLegal, l’osservatorio che dal 2011 analizza i passaggi dei professionisti, i soci che hanno cambiato studio nel 2021 sono stati 237. Cifra superiore alle 231 uscite registrate durante il 2020. Il tasso di defezioni resta alto per il mercato italiano. I passaggi hanno maggiormente coinvolto gli specialisti del societario e i fiscalisti, due categorie che insieme hanno contribuito alla metà di tutti i lateral nel 2021.

Guardando oltre il numero assoluto e analizzando le diverse categorie di professionisti coinvolte nei passaggi, il quadro diventa interessante. Dei 237 soci che hanno abbandonato il proprio studio, 109 erano soci equity, il più alto numero di defezioni dal 2011. Ciononostante, il numero di passaggi equity puri, ovvero il totale di professionisti riconfermati con il titolo di equity nello studio di approdo, è crollato a 39, il totale più basso dal 2013. La maggioranza, 70 equity (52 uomini e 18 donne), invece, ha perso il diritto alla partecipazione degli utili cambiando studio. Di questi 70 equity, 37 sono approdati nel nuovo studio con la carica generica di socio, 25 sono diventati of counsel, mentre il restante ha accettato di tornare a essere counsel.

La riluttanza degli studi a comunicare i professionisti declassati induce a pensare che gran parte dei 37 avvocati genericamente definiti “soci” siano, in effetti, soci senza quote. Se questo teorema fosse fondato, si confermerebbe una contrazione inedita degli equity e in particolare, l’affermarsi sempre di più della de-equitizzazioni. Mentre il 37% dei passaggi laterali nel 2020 avrebbe visto professionisti accettare ruoli non equity, nel 2021, questa proporzione sarebbe raddoppiata raggiungendo il 65 per cento.

La de-equitizzazione come politica di bilancio degli studi legali si diffonde per la prima volta durante gli anni Novanta negli Stati Uniti. Gli obiettivi del fatturato contrapposti alle pari opportunità dei professionisti attempati suscitò diverse controversie nei tribunali dove gli studi dovettero difendersi contro le azioni portate dai propri soci. In quell’epoca, si dilata la categoria di quelli che vengono colloquialmente designati come “artners” per indicare i partner senza la “p” di “profitto”. Da sempre, i più vulnerabili alla de-equitizzazione sono gli avvocati che ottengono l’ingresso alla partnership in tempi economici migliori, quando gli studi tendono a mostrarsi meno rigorosi nei requisiti di accesso. In periodi di congiuntura come quella attuale, la de-equitizzazione serve per ristabilire i margini sotto pressione.

Non che la crisi pandemica abbia colpito tutti i segmenti del mercato in ugual modo. La difesa dei redditi per non perdere i soci più produttivi dello studio ha assunto forme diverse. Gli studi grandi e medio-grandi hanno provveduto negli anni passati ad adottare misure per ridurre l’ingresso di professionisti nell’equity. Dovendo affrontare sempre più collaboratori giunti al termine del percorso di carriera, questi studi hanno allungato la gavetta, istituendo nuove cariche per ritardare l’ingresso nella partnership. La partnership a due livelli diventata strutturale ha consentito agli studi un’ulteriore leva sui collaboratori i quali altrimenti sarebbero dovuti essere promossi. Di conseguenza, questa volta è bastata la stretta ai super collaboratori per liberarsi dei principali costi di bilancio e mantenere la redditività degli equity. Una partnership blindata, come abbiamo riportato nel corso del 2021, fa sì che i nuovi ingressi che diventano partner sono stati sempre meno, nonostante siano aumentati notevolmente i passaggi di senior associate e counsel.

Per contro, gli studi piccoli e medio piccoli, avendo meno costi fissi da tagliare, sono stati costretti da subito a ristrutturarsi. Nell’ultimo anno, le de-equitizzazioni si sono concentrate maggiormente tra le insegne con meno di 50 professionisti, colpendo soprattutto i fiscalisti. Questi soci sono confluiti quasi tutti nei concorrenti più strutturati, la maggior parte dei quali sono posizionati prevalentemente nel mid market. Solo cinque studi della TL25 hanno visto approdare soci senza quote. In due casi, la de-equitizzazione è stata il mezzo per far quadrare un’operazione finalizzata a integrare due compagini.

Tende a palesarsi la de-equitizzazione con le flessioni del mercato, ma non si traduce automaticamente di per sé in un aumento dei profitti. Ridurre il denominatore, e quindi il numero di soci che si condividono i profitti, non basta se i maggiori costi dei soci stipendiati vanno a contrarre l’utile. Motivo per cui il socio che esce dall’azionariato tende a uscire anche dallo studio. Come spiegare quindi l’incremento di questa categoria di socio? L’approdo di numerosi partner in uno studio nuovo senza diritto alla partecipazione degli utili dimostrerebbe che essi, invece di essere un freno alla redditività, sono in grado di generare maggiore fatturato rispetto a quanto vengono retribuiti. Il costo di uno studio si trasforma così in leva di un altro.


 


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