A due anni dalla legge 124 sulla concorrenza (2017), cos’è successo allo studio Spa? Le nuove norme danno la possibilità agli studi di avere soci di capitale, anche non avvocati, di partecipare a più di un’associazione e di costituire reti e consorzi, anche con le imprese, per partecipare agli appalti. Sono opportunità da cogliere: lo strumento della società tra professionisti potrebbe favorire la crescita di un’insegna legale, anche sotto il profilo delle dimensioni. Oggi, rispetto alle aziende clienti, la maggior parte degli studi è ancora troppo frammentata e sottodimensionata e questo non favorisce la loro capacità di investimento in nuove tecnologie a beneficio della clientela. Il mercato legale italiano, tuttavia, sembra non essere consapevole di questa necessità e il numero di studi che ha assunto la forma di Stp o Sta è ancora di poche centinaia lungo tutta la Penisola.
«È importante che il legislatore, gli Ordini professionali e le casse professionali collaborino per favorire e supportare questo processo di trasformazione. L’adozione della forma giuridica di società tra professionisti favorirà un avvicinamento della realtà aziendale all’attività professionale che, se esercitata ancora tramite un’associazione professionale, rischia di non restare al passo con i tempi» ha detto a TopLegal Alessandro Lualdi, managing partner di Sts Deloitte, che a breve si trasformerà in Stp. «Il passaggio alla società tra avvocati a responsabilità limitata risponde all’esigenza di dotarsi di un modello organizzativo utile a dare risposte adeguate sia alle esigenze di gestione proprie delle nostre attività sia ai meccanismi del network Deloitte. Per logiche di funzionamento, dimensioni e volumi, l’associazione professionale non è più uno strumento adeguato, mentre la nuova forma consente di combinare capitale, organizzazione e conoscenze tecniche – non solo in ambito legale – utili a prestare servizi di consulenza realmente multidisciplinari e integrati» ha aggiunto Carlo Gagliardi, managing partner di Deloitte Legal, pronto a diventare nel 2020 una Sta.
Ma guardiamo i numeri. Considerando le due piazze principali in Italia, Roma e Milano, le società rappresentano ancora una percentuale irrisoria. A Roma, al 30 novembre, nell’albo si contavano 37 società tra avvocati, 19 società tra professionisti a fronte di 719 studi associati (pari al 4,8 e al 2,4% del totale delle insegne attive sul mercato della Capitale), mentre a Milano, alla stessa data, rispetto ai 1.027 studi associati c’erano 23 società tra professionisti (2,1% del totale) e 36 società tra avvocati (3,3%). Tra queste, si segnala La Scala, unico grande studio italiano che a fine gennaio del 2018 ha scelto di cogliere l’opportunità offerta dalla nuova legge per il mercato e la concorrenza. Perché gli altri grandi studi continuano a operare con i modelli tradizionali? «Una certa spinta al cambiamento è ancora frenata da qualche dubbio interpretativo sul regime fiscale e su quello che gli avvocati vedono come un passaggio traumatico tra regime di cassa e quello di competenza. È però solo questione di tempo: chi farà la scelta di crescere seriamente e di progettare il proprio futuro almeno a medio termine non potrà prescindere da scelte organiche con queste opzioni» ha raccontato a TopLegal Giuseppe La Scala, senior partner di La Scala società tra avvocati.
«La società tra avvocati o tra professionisti sembra comportare un vincolo maggiore di quello rappresentato dalla semplice associazione o dalla mera “condivisione” e i professionisti continuano ad avere un malinteso senso di indipendenza che ne limita la capacità di “istituzionalizzarsi”. Nel corso del processo di approvazione della legge moltissimi puntarono il dito sul rischio di imbarcare ingombranti soci di capitale tra i clienti “tiranni”. Pochissimi, invece, pensarono al vantaggio di poter associare imprenditori o consulenti in aree contigue o ancillari alle loro practice legali, o all’opportunità di coinvolgere nella compagine sociale i dirigenti apicali dello staff, sempre più importanti in studi effettivamente strutturati» ha proseguito La Scala.
Fino a oggi l’idea di uno studio Spa (o meglio Srl) sembra piacere solo alle realtà medie e piccole (con meno di 100 professionisti), come Gitti, che ha assunto la forma di Stp, o Santiapichi e Ac Group, che hanno preferito la forma di Sta. A partire dal 2018, inoltre, alcune insegne locali hanno deciso di cambiare veste. È il caso di Cavallaro, studio di Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, trasformatosi in società tra avvocati, mentre Bovesi è una società tra avvocati con 25 professionisti, fondata nel 2018 a Imola da Massimiliano Bovesi, già socio fondatore di Bovesi Cartwirght Pescatore, assieme ad altri sei professionisti. Nell’agosto 2019 è nata Lexchance, una nuova Sta con sede a Torino e Roma composta da oltre 15 professionisti tra avvocati e commercialisti. A marzo 2019 lo studio bresciano Doria ha accolto invece un socio di capitali: l’insegna si è trasformata in una società tra avvocati (Srl) con l’ingresso del socio di capitale Anna Strada, un’imprenditrice bresciana (non avvocato) che detiene il 10% dello studio e che ha assunto la carica di managing director. Freebly, studio nato nel 2019 a Milano da un'idea di Giulio Graziani (ex managing partner di Elexia) e Antonello Leogrande, ha adottato la forma giuridica di società benefit e di capitali (Srl), un codice etico e un sustainability statement, dalla rigida applicazione dei criteri di tutela e cautela in tema di privacy e antiriciclaggio, per garantire il bilanciamento tra interessi di profitto, gestione manageriale e impegni etici.
Qualcosa, insomma, si sta muovendo, ma è ancora troppo poco. E, in sostanza, il provvedimento che avrebbe dovuto aprire le porte alle società tra professionisti dopo due anni non sembra ancora aver inciso sul mercato. «Non ho visto e non vedo in futuro ingressi di capitale importanti su questo mercato, anche perché non ho visto un particolare interesse a farlo nel mondo corporate e nel private equity. Gli studi stessi sono restii ad aprirsi: chi va bene e già produce ottimi utili per i partner, non pensa certo a cambiare modello e non sente la necessità di farlo; e chi va male non è appetibile per potenziali investitori» ha detto a TopLegal Alessandro De Nicola, senior partner di Orrick. «Un evento che potrebbe scatenare un "effetto a valanga" dirompente sul mercato sarebbe un'ipotetica operazione da parte di un grande studio italiano che preveda il cambio di modello e di governance con l'ingresso di un socio di capitale esterno, magari un fondo di private equity. L'ingresso di un socio di capitale, per esempio, potrebbe essere il primo step di una strategia per l'espansione all'estero o per avviare progetti innovativi in Italia nel mondo delle Alsp (alternative service legal provider, ndr), magari facendo entrare come socio un soggetto forte che ha già in dote un canale distributivo captive, come le banche e le assicurazioni».
L’Italia è giunta in ritardo su questa strada, mentre all’estero gli studi già da molto tempo possono assumere la forma di società. Nei paesi anglosassoni si contano anche casi di realtà sbarcate in Borsa. Eppure, salvo pochi casi, in Italia le realtà straniere continuano a privilegiare la forma di studio associato. Qual è il motivo? «La mia percezione è che lo studio legale associato resti a oggi quello che consente di mantenere un’amministrazione più lineare e flessibile, improntata sulla collegialità delle scelte» ha risposto a TopLegal Romeo Battigaglia, head of financial markets di Simmons & Simmons. «Inoltre, e qui mi pongo nell’ottica di chi come noi opera quale parte di uno studio legale internazionale, lo studio associato rimane più facilmente compatibile con la forma di LLP della “casa madre”, e ciò da diversi punti di vista, dalla ripartizione degli utili ai processi inerenti la gestione e la crescita dei collaboratori, fino all’ingresso nella partnership globale» ha concluso Battigaglia.