Note a margine della novella dell’art. 2407 c.c. in materia di responsabilità dei sindaci

Pochi effetti concreti sulla responsabilità civile e penale dei sindaci nonostante le novità legislative

10-06-2025

Note a margine della novella dell’art. 2407 c.c. in materia di responsabilità dei sindaci

Note a margine della novella dell’art. 2407 c.c. in materia di responsabilità dei sindaci

Avv. Fabio Antonio Siena

 

Sulla responsabilità dei membri dei collegi sindacali c’è ancora molta strada da fare e sul versante penalistico non c’è da attendersi un reale impatto dalle recenti novità legislative.

La novella dell’art. 2407 c.c. non sembra essere davvero idonea a porre un freno ad alcuni eccessi di responsabilizzazione dei sindaci che emergono nella prassi giurisprudenziale, in specie quella penale, la quale, da un lato, corre costantemente sul filo della responsabilità oggettiva da posizione e della presunzione del dolo, dall’altro, non fornisce risposte sempre soddisfacenti al topos dei poteri concreti d’impedimento del fatto altrui e a quello dell’accertamento della causalità omissiva (in modo non troppo dissimile da quanto avviene per i consiglieri d’amministrazione privi di deleghe gestorie, seppure per essi si evidenzi da alcuni anni un tendenziale cambio di passo).

 

La Legge 14.03.2025 n. 35, pubblicata in GU n. 73 del 28.03.2025 ed entrata in vigore il 12.04.2025, è intervenuta sulla (sola) responsabilità civile dei componenti dei collegi sindacali:i. ponendo un tetto massimo agli obblighi risarcitori per l'illecito colposo dei sindaci, legato ai compensi percepiti e articolato in tre scaglioni pari a 10, 12 o 15 volte il compenso annuo (art. 2407, comma 2 c.c.);

ii. prevedendo un termine di prescrizione quinquennale per l’azione risarcitoria contro i sindaci, decorrente dal deposito della relazione annuale ex art. 2429 c.c. relativa all’esercizio in cui si è verificato il danno (art. 2407, comma 4 c.c.).

 

Nella riscrittura del comma secondo dell’art. 2407 c.c. è, inoltre, venuta meno la previgente dicotomia tra (i) una forma di responsabilità civile diretta del sindaco, per cui il sindaco risponde dei danni causati dal mancato adempimento dei propri doveri con la diligenza richiesta dalla natura del suo incarico, e (ii) una seconda forma di responsabilità, di tipo solidale e concorrente a quella degli amministratori, collegata al mancato adempimento del dovere di vigilanza, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato conformemente agli obblighi derivanti dalla loro carica.
La disposizione si limita ora a riprodurre, anche al comma secondo, che “i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l'incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi”, superando la già menzionata dicotomia tra responsabilità dei sindaci diretta e concorrente, ma non determinando, in sostanza, alcun reale restringimento del dovere di vigilanza che su di essi incombe.

 

La ratio (minima) dell’intervento normativo è chiara: porre un limite al (concreto) rischio di azioni risarcitorie (spesso milionarie e difficilmente sostenibili da una persona fisica) nei confronti dei componenti degli organi di controllo societario.
Si legge nella relazione illustrativa della proposta di legge n. 1276 presentata alla Camera dei deputati il 4 luglio 2023, con primo firmatario on. Schifone: “è giunto il momento di prevedere che i componenti debbano essere sanzionati solo per ciò che abbiano effettivamente compiuto od omesso, sulla base di elementi e fatti conosciuti in quello specifico momento e non secondo troppo facili ricostruzioni ex post […] alla luce del rigore di molte pronunce giurisprudenziali di merito e di legittimità”. La stessa relazione, poi, lamenta come la posizione dei sindaci si traduca “nell’avvio di azioni pressoché automatiche contro l’organo di controllo all’interno delle procedure concorsuali, a seguito di azioni contro gli amministratori” e che “la pretesa risarcitoria è la medesima per chi ha commesso il fatto e per chi ha vigilato, senza considerare la potenzialità di conoscenza e la possibilità di intervento da parte del sindaco”.
Si aggiunge a queste constatazioni che, infatti, i sindaci sono liberi professionisti non chiamati a sostituirsi negli atti di gestione ai consigli di amministrazione, ai comitati esecutivi, agli amministratori delegati né alla dirigenza delle società, bensì a porvi un freno legato esclusivamente alla legalità delle scelte assunte e alla loro non macroscopica violazione dei principi di una sana e prudente gestione; un dovere, soprattutto, fortemente condizionato dal più limitato novero di informazioni di cui possono disporre (e ciò anche a voler considerare i poteri informativi di cui dispongono).

 

Se la finalità fosse stata anche quella di evitare che i componenti dell’organo di controllo societario assumessero il ruolo di “parafulmine” della legalità dell’azione degli amministratori in sede penale, l’utilità dell’intervento potrebbe definirsi a dir poco scarsa.
Il rischio penale e (anche) quello risarcitorio connesso alla contestazione di reati societari e fallimentari resta alto e difficilmente si potrà assistere ad un trend maggiormente selettivo rispetto alla consolidata tendenza a coinvolgere i sindaci nelle relative vicende penali (seppur con esiti che, dopo lunghi anni, spesso finiscono per differenziarsi).

 

E, infatti, entrambe le novelle non si prestano allo scopo neppure sul piano risarcitorio, che resta legato a doppio filo con la scarsa efficacia selettiva del diritto penale.
Né il tetto alla responsabilità risarcitoria, né la più precisa delimitazione del termine prescrizionale sono destinati a produrre effetti concreti nell’ambito della casistica penale.

 

Resta, anzitutto, sostanzialmente immutato il novero dei poteri e dei doveri dei componenti del collegio sindacale, che definiscono il perimetro della posizione di garanzia di controllo sull’operato altrui di cui essi sono titolari e su cui, pertanto, si fonda la loro responsabilità per omessa vigilanza (art. 40, cpv. c.p.).
L’art. 2403 c.c. recita ancora che il collegio sindacale “vigila sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento”; del pari alcuna interpolazione v’è stata sul versante del potere di acquisire informazioni dagli amministratori e di compiere anche individualmente atti ispettivi e di controllo (art. 2403-bis c.c.), su quello di convocare l’assemblea quando ravvisino nel corso del loro incarico “fatti censurabili di rilevante gravità” (art. 2406 c.c.) e, infine, quello di procedere alla denuncia al Tribunale in caso di fondato sospetto che gli amministratori “abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società” (art. 2409, comma 7 c.c.).
La mera rimozione dal comma secondo dell’art. 2407 c.c. del riferimento ad una forma di responsabilità solidale con gli amministratori è un espediente non utile allo scopo prefissato, anzi sostanzialmente priva di alcuna efficacia innovativa.

 

In secondo luogo, la limitazione (del quantum) della responsabilità civile per i fatti colposi non tocca la dimensione effettiva del problema. Il diritto penale dell’economia e dell’impresa è essenzialmente connesso a fattispecie incriminatrici punite a titolo di dolo, fatto salvo per alcuni settori quali quello della salute e sicurezza sul lavoro e quello ambientale (e per la bancarotta semplice), in cui, però, il coinvolgimento dei sindaci appare molto raro e comunque già vedeva l’intervento delle coperture assicurative obbligatorie (rispetto alle quali, al più, ci si può attendere una qualche diminuzione dei premi).

 

Il tema di fondo resta connesso alla costruzione del dolo (eventuale) secondo i canoni della teoria dei segnali d’allarme – seppure precisata nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità –, la quale non esclude il facile scivolamento verso modelli di imputazione in concreto colposi, ma “vestiti” di un dolo apparente, secondo logiche del “non poteva non sapere” o del “senno di poi”, legate alla semplice conoscenza (talvolta anch’essa ricavata in via presuntiva) di red flag sottovalutati (anche solo per imperizia) dagli organi di controllo.

 

Del pari, sul versante oggettivo, restano inalterati i limiti propri della costruzione omissiva della fattispecie concorsuale per il sindaco: l’operatività sinergica delle clausole di cui agli artt. 40 cpv. e 110 c.p. finisce per avere un effetto detassativizzante della fattispecie omissiva, in quanto, da un lato, l’ascrizione del fatto tipico è connessa alla sussistenza di una posizione di garanzia rispetto alla quale occorrerebbe saggiare l’efficacia causale (condizionante) del mancato esercizio dei poteri (giuridici) del sindaco rispetto al fatto (altrui) dell’amministratore; dall’altro lato, però, il riferimento al modello concorsuale dell’art. 110 c.p. si “accontenta” di una causalità di rinforzo, per cui può essere sufficiente il generico mancato esercizio di atti di controllo o di sollecitazioni (dalla dubbia efficacia impeditiva) per ritenere integrata una agevolazione (omissiva) al fatto dell'amministratore.

 

In terzo luogo, poi, la delimitazione del termine prescrizionale non sembra porre una deroga alla perdurante regola dell’art. 2947 c.c. (che i compilatori della proposta di legge non sembrano aver considerato), secondo la quale il termine prescrizionale dell’azione risarcitoria connesso ad illeciti penali deve ritenersi adeguato ex lege al più lungo termine prescrizionale previsto per il reato (“In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile”).

 

La conseguenza è che le azioni risarcitorie legate alla contestazione di fatti di reato (quali essi siano, dolosi o colposi), esercitabili tanto all’esterno del processo penale quanto all’interno di esso con la costituzione di parte civile, non saranno effettivamente toccate dal nuovo comma 4 dell’art. 2407 c.c.


In definitiva, l’impressione è che il recente lifting dell’art. 2407 c.c., presentato come un passo avanti nella direzione di precisare e circoscrivere i rischi penali e civili del sindaco di società, produca un effetto pratico tutto sommato ben più limitato di quanto ci si potesse attendere.

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