Di Marco Michael Di Palma
L’ingresso nel mercato italiano a settembre di Ropes & Gray ha riacceso il dibattito sull'attrattività del nostro Paese per gli studi del Big Law statunitense. Alcuni hanno letto questo ingresso come sigillo di approvazione sul mercato italiano. La domanda che divide gli osservatori è se questo evento sia un indicatore di vitalità o un caso isolato.
Un primo sguardo alla classifica Global 200 di Law.com sembrerebbe suggerire una presenza consolidata: 35 tra i primi 200 studi al mondo per fatturato hanno un ufficio in Italia, inclusi sei delle prime dieci insegne. Tuttavia, questa lettura richiede un'approfondita contestualizzazione.
Il dato, infatti, si rivela meno solido non appena si restringe il campo. Nel Global 100, le presenze in Italia scendono a 25. Questo calo segnala il limite intrinseco dell'utilizzo del solo fatturato lordo come metro di paragone: una metrica che tende ad appiattire le profonde differenze tra realtà eterogenee per modello di business e posizionamento strategico.
È fondamentale operare una distinzione concettuale. Gli studi globali sono accomunati principalmente dalla scala, ovvero le dimensioni e il fatturato. Il Big Law, invece, combina la scala a caratteristiche qualitative sostanziali: prestigio assoluto, una clientela istituzionale (multinazionali e società Fortune 500) e, soprattutto, l'accesso sistematico a mandati di altissimo valore che giustificano e richiedono tariffe molto elevate.
Per valutare l'allineamento del mercato italiano con gli standard del Big Law, è necessario introdurre due metriche decisive: il Revenue Per Lawyer (RPL) e il Profit Per Equity Partner (PEP).
L’RPL è un indicatore di pricing power ed efficienza operativa. Un RPL elevato non riflette semplicemente tariffe alte, ma la capacità di generare valore da pratiche sofisticate, per le quali la clientela è disposta a pagare prezzi premium. L’RPL misura, in sostanza, la capacità di trasformare expertise legale in reddito.
Tuttavia, l'analisi più rivelatrice si ottiene incrociando l’RPL con il PEP. Quest'ultimo rappresenta la metrica bottom-line per eccellenza, il driver primario che orienta le strategie del Big Law e, ultimamente, dei più selettivi studi inglesi del Magic Circle. Un posizionamento di vertice si concretizza solo quando RPL e PEP sono entrambi consistenti.
Applicando queste lenti, il quadro dell'attrattività italiana per il Big Law si fa più nitido e complesso.
Prima dell'arrivo di Ropes & Gray, la presenza del Big Law era estremamente limitata: un solo studio tra i primi 10 per RPL (Latham & Watkins) aveva sede in Italia. Un secondo (McDermott, Will & Schulte) si trovava nei primi 20, con altri tre tra i primi 40 (Orrick, Herrington & Sutcliffe, Clear Gottlieb Steen & Hamilton, e Willkie Farr & Gallagher).
Il divario dimensionale è notevole: la media RPL dei top 50 studi globali supera 1,7 milioni di dollari. Al contrario, la maggior parte delle 15 insegne della Global 100 con uffici in Italia registra un RPL inferiore al milione di dollari. I principali studi italiani, poi, operano in una fascia compresa tra i 350.000 e 500.000 dollari. Questo gap non è solo significativo, è strutturale.
Anche l'analisi del PEP, sebbene mostri una penetrazione maggiore—14 studi tra i primi 50 per PEP hanno un ufficio in Italia, il 28%—questo dato va interpretato con cautela. Il PEP è una metrica che può essere ingegnerizzata attraverso l'aumento della leva collaboratori/soci, la revisione delle tariffe e, non da ultimo, processi di de-equitizzazione per mantenere alto l'utile pro-capite. Non a caso, questo fenomeno è in ripresa nel mercato italiano, segno di una pressione per sostenere la redditività.
In definitiva, il Big Law stenta a investire in Italia perché rappresenta un ecosistema ad altissima intensità di profitto, caratterizzato da un ristretto club composto di circa trenta studi con un PEP superiore ai 4 milioni di dollari. In Italia, oggi, ne sono presenti solo cinque.
Guardano al futuro, gli incentivi all'apertura restano scarsi. Il mercato italiano presenta tre barriere strutturali difficili da superare: la pressione sulle tariffe, la frammentazione e concorrenza tra studi legali, e la cultura aziendale locale. Le tariffe sono storicamente sotto pressione, fino al 50% inferiori a quelle di Parigi, per non parlare di Londra. Il mercato, inoltre, è affollato e iper-frammentato, con una competizione che spesso si gioca sul prezzo, non sulla qualità, a causa di un'eccedenza dell'offerta legale. Infine, il budget legale è troppo spesso percepito dalle aziende italiane come un costo da contenere, non come un investimento strategico.
L'ingresso di Ropes & Gray è dunque un'eccezione che conferma la regola: un'operazione selettiva e in tutta probabilità dettata da logiche particolari attinenti ai clienti. Senza un cambiamento delle condizioni di mercato sottostanti, un'affermazione su larga scala del Big Law in Italia rimane un'ipotesi remota.