ART BONUS

Come investire nei beni culturali in Italia: art bonus e sponsorizzazioni

Maria Laviensi, senior associate dello studio A&A – Albè e Associati, illustra gli istituti per attirare investimenti privati nel settore dei beni culturali

10-04-2024

Come investire nei beni culturali in Italia: art bonus e sponsorizzazioni

 

di Valentina Magri e Claudia Ridolfo

Il mecenatismo, ossia l’attività volta a proteggere e sostenere artisti e studiosi, motivata da ragioni di prestigio oltre che di gusto e dedizione all’arte, esiste fin dall’antichità. Negli ultimi anni le congiunture sfavorevoli e le cicliche riduzioni del sostegno pubblico al patrimonio culturale hanno favorito l’introduzione del cosiddetto plural funding. Si tratta di misure per incentivare investimenti privati per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali. Tra le prime misure introdotte si annovera il Business Sponsorship Incentive Scheme, adottato dal governo britannico nel 1984.

 

In Italia, lo Stato ha introdotto due istituti per attirare investimenti privati nel settore dei beni culturali: l’art bonus e la sponsorizzazione.

 

Cos’è l’art bonus

L’art bonus è stato introdotto con l’art.1 del D.L. n.83/2014, convertito con modificazioni con la legge n.106/2014 e s.m.i., e ha previsto un credito d’imposta pari al 65% per le erogazioni liberali in denaro a sostegno della cultura e dello spettacolo. La misura è stata successivamente resa permanente con la legge di stabilità del 2016 (n. 208/2015). Possono beneficiare del bonus fiscale tutti coloro che effettuano erogazioni in denaro a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano, con modalità tracciate. Le persone fisiche e gli enti che non svolgono attività commerciale possono usufruire del credito entro l’importo massimo del 15% del loro reddito annuo imponibile. I titolari di reddito d’impresa e gli enti che esercitano attività commerciale possono beneficiarne nel limite massimo del 5 per mille dei loro ricavi annui. Il bonus spettante deve però essere ripartito in tre annualità di pari ammontare.

 

«Secondo i dati raccolti dal Ministero della cultura, dal 2014 le liberalità eseguite e rese pubbliche sono oltre 40 mila: il dato è sicuramente interessante ma ha notevoli margini di miglioramento», afferma Maria Laviensi (in foto), senior associate dello studio A&A – Albè e Associati esperta di diritto civile e amministrativo con particolare focus sul settore cultura. In Francia si registrano elargizioni sette volte superiori rispetto all’Italia, in quanto l’art bonus trova applicazione estesa al finanziamento per l’acquisto di un bene culturale riconosciuto come tesoro nazionale o opera di grande interesse patrimoniale, sia a vantaggio di una collezione pubblica che per proprio conto. Sono eleggibili, ai fini del mecenatismo deducibile, tanto i soggetti pubblici quanto i soggetti privati, come ad esempio associazioni e fondazioni riconosciute di utilità pubblica, fondazioni di impresa e monumenti storici privati. Le donazioni possono essere in denaro, in natura o in competenza. «A questo si aggiungono i noti vincoli dell’istituto, in particolare in materia di comunicazione», dichiara Laviensi.

 

Cos’è la sponsorizzazione

La sponsorizzazione è invece disciplinata dall’articolo 120 del Codice dei beni culturali. Si tratta di un contratto atipico, consensuale, oneroso e a prestazioni corrispettive, in cui una parte definita sponsor, eroga un contributo, anche in beni o servizi, per la progettazione o l’attuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale. L’altra parte, denominata sponsee, si impegna ad accostare il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’attività del soggetto erogante, con modalità compatibili al decoro del bene culturale. Si possono stipulare tre tipi di sponsorizzazione:

1.        la sponsorizzazione di tipo tecnico, in cui la progettazione o la realizzazione di parte o di tutto l’intervento è a cura e a spese dello sponsor;

2.        la sponsorizzazione pura, nella quale lo sponsor si impegna unicamente a finanziare, anche mediante accollo, le obbligazioni di pagamento dei corrispettivi dell’appalto dovuti all’amministrazione;

3.        la sponsorizzazione mista, che consiste nella combinazione delle prime due.

 

L’impatto del nuovo codice degli appalti sulla sponsorizzazione

Il nuovo codice degli appalti (D.Lgs. n.36/2023) ha esteso la sponsorizzazione ai beni mobili e semplificato le procedure. L’articolo 134 ha stabilito, infatti, che l'affidamento di contratti di sponsorizzazione per importi superiori a 40 mila euro è soggetto esclusivamente alla previa pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante di apposito avviso, per almeno 30 giorni, con il quale si rende nota la ricerca di sponsor per specifici interventi, ovvero si comunica l'avvenuto ricevimento di una proposta di sponsorizzazione, indicando sinteticamente il contenuto del contratto proposto. Trascorso il periodo di pubblicazione, il contratto può essere liberamente negoziato, purché nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento fra gli operatori che abbiano manifestato interesse, fermo restando il rispetto dei requisiti degli esecutori e della qualificazione degli operatori economici.

 

La sponsorizzazione, sotto il profilo fiscale, è equiparata all’acquisto di servizi ed è soggetta a Iva. Le spese di sponsorizzazione sono assimilabili alle spese di pubblicità e di rappresentanza, per cui sono deducibili secondo le modalità previste dalla legge.

 

«Come nel caso dell’art bonus, si registra un’applicazione della sponsorizzazione significativa ma non ottimale. La complessità del contratto di sponsorizzazione, nonostante le semplificazioni operate dal legislatore e il regime fiscale, di fatto equivalente alle normali operazioni commerciali, vanno a discapito degli enti culturali. In questo contesto, si ritiene necessario un ripensamento in termini di ampliamento e di semplificazione, pur con la grande attenzione che si deve prestare ai finanziamenti privati. Chi si occupa della materia ricorderà il caso Sackler», chiosa Laviensi.

 

Il caso Sackler è noto in quanto alla famiglia Sackler, titolare dell’azienda farmaceutica Purdue Pharma, produttrice dell’oppioide OxyContin, è stato revocato il naming rights nei musei, ossia il diritto di intitolare con il proprio nome spazi museali in cambio di donazioni e finanziamenti (come nel caso della Sackler Wing al MET di New York ), in seguito al pagamento di miliardi di dollari, stabilito dagli accordi transattivi per il risarcimento per le morti e i danni psicofisici provocati dall’OxyContin.


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